Parrocchia
San Lorenzo M.
Massafra

Le origini della Chiesa a Massafra

Introduzione

La prima cosa che colpisce l’occhio del visitatore giungendo a Massafra dalle varie direzioni è la mole della grande cupola della Chiesa Collegiata, chiamata da tutti la ‘Chiesa Nuova‘, il più grande edificio sacro della diocesi di Castellaneta e forse di tutta la provincia di Taranto.

Scopo del presente lavoro non è quello di intrattenere il cortese lettore sulle vicende legate alla progettazione e alla costruzione e alla lunga fase di completamento di quell’edificio sacro, oggetto peraltro di una esaustiva indagine di Paolo Catucci a cui si rimanda, bensì quello di incrementare – specie tra le nuove generazioni – la conoscenza della storia della Chiesa di Massafra che ha segnato profondamente la Storia della nostra comunità, intimamente connessa alla fede e alle vicende relative alla nascita e alla evoluzione della Comunità cristiana a Massafra. 

Pochi sanno che fino al 1948 a Massafra esisteva una sola parrocchia e altrettanto pochi conoscono la sua esatta denominazione che da tanti secoli è ‘la Insigne Collegiata Chiesa di Massafra sotto il titolo di San Lorenzo Martire’.  A quando risale l’origine della Chiesa di Massafra, cosa significa ‘Chiesa Collegiata’, quando la chiesa di Massafra è divenuta collegiata, come era organizzata e da quanti canonici e sacerdoti era composto il Capitolo collegiale? Sono queste alcune delle domande a cui si cercherà di dare una risposta.

Tra storia e leggenda

Alcune pergamene ci rivelano che a Massafra già nel XI secolo, cioè in pieno Medioevo, esistevano  vari edifici sacri (ecclesie e cappelle) e che, a partire dal XIII secolo, la Chiesa di Massafra appare costituita da un collegio di canonici cui era preposto non solo un archipresbitero ma altresì un archidiacono. Ma, a parte le notizie riportate nelle fonti scritte, grazie all’archeologia sappiamo che le prime chiese rupestri sono state scavate a partire dal V-VI secolo e che quindi – almeno a partire da questa epoca – esisteva da noi una comunità di fedeli.

Spingendoci ancora oltre nel tempo, altre notizie sulla chiesa di Massafra ci sono tramandate dalla leggenda e attribuiscono a San Pietro la evangelizzazione delle nostre contrade e la somministrazione dei primi battesimi. Su queste ultime notizie cercheremo di fare qualche serena riflessione, separando il miglio dal loglio. Inizieremo la nostra breve passeggiata nel tempo, partendo proprio dalla leggenda.

La leggenda sulla fondazione della Chiesa

Dal punto di vista metodologico è doverosa una prima premessa. Le vicende della chiesa di Massafra non possono essere disgiunte da quelle della Chiesa di Taranto perché fino alla seconda metà del XI secolo, Massafra era parte del territorio e della Diocesi di Taranto e ne seguiva le sorti. Pertanto, nella trattazione sarà inevitabile fare riferimento alla Chiesa di Taranto.

La prima fonte scritta è del 494-5 (fine V secolo) e riguarda la Chiesa di Taranto. Per Massafra bisogna attendere il 970 per trovare la prima fonte scritta. Alla carenza di fonti scritte, si contrappone l’abbondanza di racconti relativi alle origini tanto per la Chiesa di Massafra tanto per quella di Taranto.

Secondo la leggenda, nell’anno 45 l’apostolo Pietro, attraversando la Puglia per recarsi a Roma, si fermò a Massafra ove avrebbe convertito e battezzato i primi cristiani; insieme con lui era San Marco evangelista. Anch’egli predicò la parola di Cristo e in nome di Lui operò miracoli. Gli studiosi locali si sono mostrati scettici nei confronti della leggenda pur nello sforzo di scorgere in essa un barlume di verità. Analoghi racconti, e con dovizia di particolari, relativi alla venuta di S. Pietro e di S. Marco si tramandano ovviamente anche per la Città di Taranto. Conviene soffermarsi anche su questi in quanto se essi dovessero trovare conferma anche la leggenda di Massafra potrebbe essere avvalorata. La tradizione della fondazione petrina della Chiesa di Taranto, riportata in fonti altomedioevali di IX-X secolo, fu pubblicata nel 1555 da Giovan Battista De Algeritiis, nel 1589 da Giovan Giovine e nel 1682 da Ambrogio Merodio. Ma essa, per D’Angela “è da ritenere pur sempre leggendaria, perché non è possibile desumere da queste narrazioni alcun dato storico certo”. Secondo lo stesso Autore, tuttavia, non si può escludere a priori una presenza cristiana in Puglia nei primi secoli dell’Impero sulla base di considerazioni storico – geografiche: “il mare fu la condizione geografica che da sempre determinò rapporti economici e culturali tra la Puglia e l’Egeo e tutto l’Oriente mediterraneo. Il cristianesimo vi giunse per via di mare e trovò il lievito naturale alla sua diffusione negli stessi ambienti portuali affollati di mercanti, di marinai greci, siri, palestinesi etc… e nella buona rete viaria che univa le città della costa a quelle dell’interno apulo e queste a Roma”. Anche per J. M. Martin “la regione è certamente stata, a causa della sua vicinanza con il mediterraneo orientale, una delle prime in Italia a esser venuta in contatto con il cristianesimo: la presenza delle colonie ebraiche costituiva, da questo punto di vista, una circostanza assai favorevole”. Quest’ultimo elemento non è da trascurare in quanto  è certa la presenza a Taranto di una comunità ebraica in tempi molto antichi, forse sin dal I secolo d. C.. Secondo Colafemmina “la coscienza di un’antica presenza ebraica a Taranto si rispecchia nella tradizione, contenuta in alcuni codici del Sefer Yosefon (sec. X), secondo la quale prigionieri ebrei sarebbero stati deportati nella città (di Taranto) dopo la distruzione del secondo Tempio (70 d.C.)”. Peraltro lo sbarco del Principe degli Apostoli nel territorio di Taranto anziché direttamente nel Lazio (e quindi a Roma) si potrebbe giustificare per ragioni di sicurezza. 

Il Cristianesimo etichettato come illicita religio dal Senato di Roma

Sappiamo che nell’anno 35, subito dopo la crocifissione di Gesù Cristo, il cristianesimo fu subito etichettato come ‘illicita religio’ dal Senato di Roma. Se il principe degli Apostoli fosse giunto a Roma direttamente dalla Palestina rischiava di essere subito identificato e perseguitato come aderente alla setta dei cristiani. Se voleva arrivare vivo a Roma, senza essere notato, doveva adottare qualche precauzione e arrivarvi, non notato, dall’interno.

Cosa era successo? Alcuni scrittori cristiani (S. Giustino, Tertulliano ed Eusebio di Cesarea) attestano che nell’anno 35 d. C. Ponzio Pilato ebbe ad inviare una relazione scritta all’imperatore Tiberio, relazione che avrebbe avuto un contenuto favorevole nei confronti dei cristiani in quanto “parlava – tra l’altro – del misterioso fenomeno solare che aveva accompagnato la morte di Gesù e della successiva, altrettanto misteriosa scomparsa del suo cadavere”. 

Purtroppo, il Senato, consultato dall’imperatore, fu di parere negativo, negando la natura divina di Gesù Cristo e proclamando quindi illecita la religione cristiana, sicché da quel momento i cristiani cominciarono ad essere perseguitati. Costoro, identificati come appartenenti alla razza ebraica e considerati aderenti a una setta sorta in seno all’ebraismo, a partire da quell’anno non potevano dichiararsi apertamente tali senza mettere a repentaglio la propria vita. È noto che gli Apostoli, tutti di origine ebraica, annunciavano il Vangelo prima ai propri fratelli di fede e quindi ai pagani. Poiché l’ebraismo aveva lo status di ‘religio licita’ e poiché – come pare – a Taranto esisteva una comunità ebraica già nel I secolo, non si può escludere a priori che S. Pietro possa essere sbarcato proprio a Taranto ove poteva trovare ospitalità tra i suoi connazionali, annunciare loro il Vangelo e passare inosservato senza eccessivi rischi. 

Tuttavia, occorre subito dire che tale ipotesi non è – allo stato delle nostre conoscenze – suffragata né da dati storici né da dati archeologici in quanto le iscrizioni più antiche del cimitero giudaico di Taranto datano a partire dal IV secolo.

Dal X – XI secolo, poi, la ulteriore diffusione di tali leggende e il concomitante fenomeno della dedicazione di chiese a S. Pietro sarebbero conseguenza dello scisma del 1054 e frutto del processo di latinizzazione (o di ricattolicizzazione) anche di quelle chiese di tradizione bizantina che da antica data dipendevano dal Patriarcato di Costantinopoli.

Tornando al territorio di Massafra, oltre alla leggenda riportata, una lapide murata sopra l’altare maggiore nel santuario Madonna della Scala, narra di una chiesa scavata nel sasso nell’anno 102 (in numeri latini: CII), quasi al tempo della Chiesa nascente. Gli autori locali hanno a lungo dissertato sulla attendibilità di tale data.  Alcuni, infatti, sostengono che, per mero errore di trascrizione, alla data CII possa essere caduta una prima parte per esempio una ‘M’, in tal caso MCII avrebbe indicato l’anno 1102; oppure che sia caduta una ‘D’, e quindi DCII avrebbe indicato l’anno  602. Sul punto, p. Abatangelo afferma che  la notizia dello scavo di una chiesa nell’anno 102 “riguardata alla luce della storia, si può definirla leggendaria, essendo già noto sia archeologicamente, sia storicamente che a quest’epoca, quanto sino ad oggi si sappia, nessun luogo di culto pubblico propriamente detto esisteva neppure a Roma”.  Non si può non concordare con l’Abatangelo se solo si rifletta sull’atteggiamento ostile della società imperiale romana nei confronti del cristianesimo che, sin dal 35 d.C. – come si è detto -, ancor prima che i santi Pietro e Paolo giungessero a Roma, lo considerava quale ‘illicita religio’. 

Ne fa fede il racconto di S. Giustino il quale, alla metà del II secolo,  così descrive la condizione dei cristiani: “noi soli siamo odiati a causa del nome di Cristo, e, pur non facendo nulla di male, siamo uccisi come colpevoli, mentre altri, chi qua chi là, venerano alberi, e fiumi e topi e gatti e coccodrilli e molti altri animali privi di ragione”. Costruire o scavare una chiesa o dedicare altro luogo al culto cristiano all’inizio del secondo secolo significava commettere reato e andare incontro a una sicura condanna a morte. È vero che i cristiani – come lo stesso San Giustino scrive – erano soliti radunarsi per celebrare l’eucaristia, ma lo facevano segretamente, in ‘domus’ (case private), segno evidente che ai suoi tempi non esistevano né potevano esistere templi o basiliche cristiane destinate al culto. Naturalmente, escludere che al principio del II secolo sia stata scavata una chiesa non significa negare anche l’esistenza di una comunità cristiana nel nostro territorio. I documenti dell’Archivio Capitolare, a partire dal 1583, attestano l’esistenza sia della chiesa di S. Pietro alla Gravina sia della chiesa dei Santi Pietro e Paolo extra meonia, senza dimenticare che in campagna non lontano dalla sorgente del Patemisco esisteva un’altra cappella o un sacello, San Pietro alla Palata, nel luogo in cui  tuttora esiste un pozzo sorgivo demaniale, ove affiorano dalla terra testimonianze archeologiche di epoca greca e romana.

Le cose cambiano nel IV secolo

Col decreto di Costantino (a. 313) il cristianesimo diventa una religione lecita e, poco più tardi, ottiene lo status di religione di Stato. Come è noto, nella chiesa primitiva si diventava cristiani dopo un lungo periodo di iniziazione, chiamato catecumenato. Dopo questa preparazione il neofita riceveva nel giorno di Pasqua o di Pentecoste il battesimo, l’eucarestia e la confermazione,  sacramenti che allora erano uniti inscindibilmente. Quando si cominciò a costruire le chiese, le stesse erano strutturate per ospitare separatamente i catecumeni e i battezzati. I primi dovevano sostare nel nartece, solo i battezzati venivano ammessi nell’aula. Dopo aver ascoltato la liturgia della Parola e l’omelia, i catecumeni uscivano dalla chiesa non potendo partecipare alla liturgia eucaristica propriamente detta.

Ma, tra IV e V secolo interi popoli chiedono di entrare nella Chiesa e di diventare cristiani come l’imperatore. Tale evento rese impossibile l’iniziazione cristiana attraverso il catecumenato per grandi moltitudini sicchè si assiste al graduale abbandono dello stesso fino al punto di consentire il battesimo contestuale di intere famiglie compresi i bambini neonati. Con la diffusione del cristianesimo nelle campagne si pose poi il problema di provvedere ai bisogni religiosi di quanti (coloni, liberti e servi gregari) risiedevano ivi. In un primo tempo, il vescovo si limitava a inviare di volta un volta un ecclesiastico, ma in seguito, per le accresciute esigenze della popolazione rurale, si ritenne necessario farvi risiedere stabilmente degli ecclesiastici. Per provvedere al sostentamento di questi ultimi per un certo tempo si continuò ad attingere alla cassa comune; in seguito, per un migliore assetto delle cose, si fece ricorso all’istituto della ‘precaria’. In tale periodo, secondo l’opinione del Blandamura e del padre Abatangelo, si verifica nel nostro territorio anche la diffusione del monachesimo di origine orientale. 

Afferma il Blandamura: “i primi sacerdoti anacoreti dovettero raccogliersi nei recessi del Tarantino nei primi secoli del cristianesimo e più propriamente fin dalla seconda metà del IV secolo, allorché S. Atanasio, nel recarsi a Roma (339), divulgò in Italia la santissima vita degli sperduti fra i deserti popolari”. Il padre Abatangelo conferma tale ipotesi aggiungendo che “quel vasto movimento di anacoretismo e di ascesi che contraddistinse i secoli IV e V del Cristianesimo” non riempì solo i deserti e le rocce dell’Egitto, della Siria, della Palestina, del Ponto e dell’Asia Minore, ma anche le nostre gravine e ne deduce che “questi nuclei di solitari, dati i loro rapporti religiosi coi cenobiti nolani, vivessero secondo le norme di vita dei Padri del deserto che in Occidente erano già note per la Storia Lausiaca, diffusa da Ruffino e da Cassiano”.

Nel territorio tra Taranto e Massafra – come è noto – si susseguono una serie di villaggi abitati sin dall’età del Bronzo ove ancora sono visibili numerosi villaggi e chiese rupestri. Elemento di connessione di detti insediamenti abitativi è la strada di origine preclassica che nel corso del tempo ha assunto denominazioni varie quali via antiqua, via publica, itinerario di Guidone, via del Procaccia. Il viandante, che da Taranto si recava a Napoli percorrendo detta via antiqua, era costretto a lambire i villaggi rupestri di Massafra ove poteva trovare sicuro ricetto. Tale strada deve aver facilitato i contatti dei monaci, sia provenienti che diretti in Oriente, e la diffusione del Vangelo e dell’anacoretismo tra gli abitanti dei nostri villaggi rupestri. 

V secolo e la venuta dei profughi Afri

Tra il IV e il VI secolo ci è nota l’esistenza di episcopati in varie città della Puglia  tra le quali Taranto. Nello stesso periodo si sviluppa in Italia Meridionale il fenomeno delle chiese private. Tale fenomeno fu più manifesto in Puglia ove non si conoscono casi di pievi pubbliche (dal latino plebs = pieve). Martin attribuisce tale assenza di plebes nel Sud alla rete episcopale ridottissima “che suscitò istituzioni sostitutive”.  

La prima fonte scritta che parla della Chiesa e del Vescovo di Taranto è della fine del V secolo (tra il 494 e il 495). In quell’anno Papa Gelasio I scrive “una lettera, pervenutaci frammentaria, al ‘Clero, Ordini et Plebi Tarenti’ nella quale comunicava l’invio di un nuovo vescovo di nome Pietro e dava disposizioni sull’amministrazione del battesimo che doveva essere impartito a Pasqua e a Pentecoste”. Per Massafra, non disponendo di altre fonti scritte, un contributo ci viene fornito dall’archeologia. L’iscrizione latina, ‘+ Tempore Pape Gel..’, sita sotto la finestrella sul lato Est della chiesa rupestre di S. Marco, viene attribuita proprio al papa Gelasio I. Ove tale attribuzione fosse vera, secondo Caprara costituirebbe la conferma epigrafica della datazione alla fine del V secolo della escavazione di detta chiesa rupestre.

È altresì provata, tra fine V e inizio VI secolo, la venuta tra noi dei profughi Afri. Lungi dall’essere un gruppo di sbandati e di emarginati in cerca di una terra, di un lavoro e di migliori condizioni economiche, costoro costituivano una comunità cristiana, costretta alla fuga dalle persecuzioni dei Vandali ariani, guidata dai rispettivi chierici e dal loro vescovo (S. Possidio di Calama), discepoli osservanti la Regola di S. Agostino. Si tratta di quel gruppo etnico che, stabilitosi in una ‘Massa’ concessa – come opina Caprara – dal Vescovo di Taranto, lungi dal fondersi con la popolazione locale, ivi stanziata da secoli, non scompare ma lascia evidenti tracce della sua presenza nell’architettura civile (abitazioni ipogee scavate in piano, anziché in rupe, con corte scoperta centrale chiamate ‘vicinanze’), nell’architettura religiosa (chiesa ipogea detta cripta pozzo in contrada Carucci o chiesa di S. Possidonio), nella numismatica (compendio di minimi di emissione vandala noto come ‘Thesaurus Massafrensis’), nella toponomastica (l’etimo più convincente di Massafra è Massa Afra cioè l’insieme dei ‘fundi’ costituenti la Massa abitata dalla gens Afra. La presenza di nuclei cristiani nello stesso periodo è attestata dall’iscrizione funeraria di due fanciulli Spectatus e Spaictata, pubblicata da Caprara 1971.

Con i Normanni e con la creazione della diocesi di Mottola maturano le condizioni per l’autonomia territoriale di Massafra e per l’istituzione ivi di un’autonoma parrocchia. Come è noto, i Normanni promuovono Taranto a sede di Metropolìa creando le minuscole diocesi suffraganee di Mottola e Castellaneta. Nella riorganizzazione amministrativa ed ecclesiastica che ne seguì, Massafra viene staccata dal territorio e dalla diocesi di Taranto e aggregata a quella di Mottola, assumendo autonomia sia come casale che come parrocchia. Rafforza tale ipotesi la esistenza della carica canonica di Arcidiacono ‘in castro Massafre‘ attestata già nel 1198. L’Arcidiacono era una carica vicariale del Vescovo, aveva competenze in temporalibus, mentre l’Arcipresbitero aveva competenze in spiritualibus, cioè la cura delle anime. Ancora nel dicembre 1231 un altro archidiaconus Massafrae, il presbitero Balthasar, interviene nell’atto con cui Giovanni, Vescovo di Mottola, concede a Giovanni, monaco procuratore del monastero florense di San Giovanni in Fiore, la chiesa abbandonata di Sant’Angelo de Satrano, sita presso una gravina tra Mottola e Palagiano. 

Memorabile è poi la elezione di Gualtiero da Massafra, canonico idrontino, a vescovo di Lecce il 27 novembre 1254, un indiretto riconoscimento della dignità del Clero di Massafra. La presenza di un Arcidiacono a Massafra fra il XII e il XIII secolo ci fa presumere che esistesse in loco anche un Arcipresbitero e che quindi se non dal XII, almeno dal XIII secolo sia stata fondata la Parrocchia. Ce ne dà conferma un importante documento, recante la data dell’11 marzo 1328 e conservato nell’archivio arcivescovile di Taranto, il quale attesta che l’arcipresbitero Massafre et omnibus clericis Massafre, ipsius Mutulane dyocesis, pagavano un’oncia alla Camera Apostolica quale seconda quota della decima triennale, segno che allora a Massafra esisteva già un Capitolo collegiale e quindi una Parrocchia. Tuttavia, a causa della dispersione dei documenti e dei ripetuti incendi dell’Archivio capitolare, non sappiamo quando sia stata istituita esattamente e dove fosse ubicata la primitiva chiesa parrocchiale. Una delle ipotesi, formulata da Gallo, è che avesse avuto sede nella chiesa rupestre di Santa Maria di Costantinopoli: ma tale tesi non ha trovato sinora conferme. Caprara ritiene che nel XIV secolo la sede del Capitolo fosse nella chiesa rupestre dei Santi Pietro e Paolo «in attesa che fosse terminata la costruzione della nuova Collegiata di san Lorenzo» in quanto dopo il 1356 detta chiesa, con la totale distruzione di Mottola, rivestì il ruolo di cattedrale de facto. Ma soltanto con la bolla papale del 15 marzo 1582 abbiamo la certezza che il Capitolo avesse sede nella chiesa di San Lorenzo: vi si legge infatti che la lettera fu indirizzata al Papa ad istanza «Archipresbiteri et Capituli Ecclesie Santi Laurentii Terre Massafre». 

L’attuale Chiesa Madre, sotto il titolo di San Lorenzo, sorge sulla preesistente chiesa rupestre e, secondo la communis opinio, sarebbe stata costruita tra il 1533 e il 1541, cioè in Età Moderna. Ne farebbero fede le date riportate sul capitello della semicolonna a destra entrando in chiesa e sullo stemma della città sulla chiave di volta. La chiesa fu consacrata l’11 febbraio del 1582 dal vescovo Jacopo Michele, come riporta la lunga iscrizione sita sulla porta d’ingresso.

 

a cura di Giulio Mastrangelo